13 - Agire per il clima
Agire per il clima, a che punto siamo?
Il Goal 13 dell’Agenda 2030 punta a ridurre l’impatto del cambiamento climatico, i cui effetti potrebbero rendere il nostro Pianeta inadatto all’uomo. Assistiamo già adesso a conseguenze ambientali preoccupanti (desertificazione, innalzamento dei mari), ma il futuro ci riserva scenari più catastrofici se l’azione di contrasto non sarà rapida e incisiva. Il climate change è il problema principale del nostro tempo e la più grande sfida da affrontare per lo sviluppo sostenibile.
Un caldo insopportabile
Uno degli effetti più preoccupanti del cambiamento climatico è il riscaldamento globale. Questo fenomeno non si arresta, anzi accelera. Secondo il Report Climate Change 2023 dell'IPCC (The Intergovernmental Panel on Climate Change, l'organismo delle Nazioni Unite per la valutazione scientifica dei cambiamenti climatici), la temperatura media globale è aumentata di 1,1 °C rispetto al livello preindustriale, un incremento causato dalle attività umane e in particolare dall’emissione di gas ad effetto serra. La temperatura media è aumentata maggiormente sulle terre emerse (+1,59 °C) rispetto agli oceani (+0,88 °C).
Un aspetto strettamente correlato all’aumento della temperatura globale è l’aumento dei gas serra nell’atmosfera. In particolare le emissioni di CO2 sono cresciute costantemente: la concentrazione di CO2 (anidride carbonica) in atmosfera nel 2023 ha registrato un +0,4% rispetto all'anno precedente e quasi il +150% di quella preindustriale.
Questa tendenza mondiale presenta alcune differenze tra i Paesi. Quelli ad alto reddito in generale hanno limitato negli anni le loro emissioni, mentre quelli a medio-basso reddito, per mancanza di politiche e strumenti adatti, le hanno incrementate di molto. Il risultato complessivo non fa certo bene al pianeta.
Fenomeni estremi
I cambiamenti climatici hanno già provocato gravi danni alla vita del pianeta e dell’uomo. Questo processo lento ma inesorabile sta modificando e modificherà l’aspetto del nostro pianeta. Le calotte polari si ridurranno e lo scioglimento dei ghiacciai porterà a un aumento del livello dei mari che copriranno le terre più basse (Italia compresa).
In base al rapporto 2023 dell’IPCC, tra il 1901 e il 2018 il livello medio dei mari è salito, globalmente, di circa 20 cm. Le stime prevedono che dovrebbe crescere tra i 40 e gli 80 cm nel corso del prossimo secolo.
Con l’aumento delle temperature i fenomeni meteorologici diventeranno più estremi - uragani e tornado sempre più violenti, inaridimento di vaste aree oggi coperte di vegetazione -, mentre le piogge aumenteranno in zone attualmente desertiche.
L’Europa meridionale è una delle zone che più risentiranno del riscaldamento globale. Con temperature più alte di oltre 2°C, l’area mediterranea perderebbe gran parte della sua biodiversità diventando sempre più arida. A lato della siccità nel Mediterraneo l’aumento a fine secolo secondo tre scenari di aumento di temperatura.
Scenari futuri e benessere mondiale
La Banca Mondiale ha disegnato due possibili scenari futuri in relazione alla distribuzione delle precipitazioni tra inizio e fine del XXI secolo: con basse o alte emissioni di CO2. In entrambi i casi, il termine di riferimento è la temperatura media superiore ai 35 °C. Le considerazioni riguardano non solo evidenti conseguenze come la desertificazione delle aree più colpite, ma anche conseguenze indirette e più generali che riguardano l’aumento di consumo di fonti energetiche per far fronte al caldo o il peggioramento delle condizioni di salute.
Questo fenomeno globale ha anche risvolti più generali. Negli ultimi decenni sono aumentati i disastri ambientali legati al clima. Si è calcolato che dal 1998 al 2020 essi hanno rappresentato oltre la metà delle perdite economiche. Nello stesso periodo, ai disastri geofisici è stato ricondotto 1,3 milioni di vittime. Gli effetti del cambiamento climatico avranno ripercussioni anche sulla società, con un aumento globale della povertà.
Agire per il clima, che fare?
Il Goal 13 è di cruciale importanza per gli obiettivi di sostenibilità globale ed è molto ambizioso. Le emissioni globali di biossido di carbonio devono ridursi di circa il 50% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 2010) fino a raggiungere quota zero emissioni nette entro il 2050.
Per evitare conseguenze irreversibili, l’innalzamento delle temperature globali va contenuto al di sotto di 1,5 °C. Questo obiettivo comporta azioni rapide e di vasta portata nei settori dell'energia, delle infrastrutture, nei sistemi industriali e urbani.
È quanto è stato stabilito dall’Accordo di Parigi, raggiunto il 12 dicembre del 2015 alla Conferenza annuale dell’Onu sul riscaldamento globale (Cop21). L’accordo è stato firmato da 194 Paesi, compresi quelli dell’Unione Europea.
Nella carta tematica interattiva è possibile constatare come le emissioni di gas serra siano aumentate dall'era preindustirale a oggi. I gas serra comprendono l'anidride carbonica, il metano e il protossido di azoto.
I Contributi Nazionali
Questa azione condivisa trova la sua concretizzazione nei cosiddetti NDC (Nationally Determined Contributions). Si tratta di obiettivi stabiliti dai singoli Paesi a livello nazionale, in maniera autonoma e volontaria, per contribuire all’obiettivo generale. L’Unione Europea, per esempio, entro il 2030 intende ridurre le emissioni del 55% (rispetto a quelle del 1990), aumentare del 27% l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e addirittura realizzare un’economia “climaticamente neutra” entro il 2050.
Purtroppo, in base alle verifiche costanti delle Nazioni Unite, questi impegni, anche se rispettati, faranno salire la temperatura media globale di 3,2 °C da qui al 2100. Significa che, se non verranno introdotti correttivi drastici, si passerà da uno stato di crisi climatica a condizioni di catastrofe climatica.
Sendai Framework for Disaster Risk Reduction
Un altro passo importante della comunità internazionale nella lotta contro gli effetti del cambiamento climatico è il Sendai Framework for Disaster Risk Reduction 2015-2030.
Entrato in vigore il 15 marzo 2015, è un quadro di riferimento per le politiche climatiche, valido fino al 2030, che mira a ridurre il rischio di disastri ambientali. In base a questo protocollo si sono attuate strategie per affrontare le numerose catastrofi degli ultimi decenni, che si sono presentate con crescenti livelli di intensità e di frequenza.
Hanno aderito oltre 180 Paesi, tra cui l’Italia, impegnati nella riduzione delle vittime dovute ai disastri e nel contenimento dei danni economici. Sono stati stabiliti sette obiettivi globali da raggiungere entro il 2030:
1. riduzione del numero di vittime causate da disastri;
2. riduzione del numero di persone colpite da disastri;
3. riduzione della perdita economica diretta;
4. riduzione del danno prodotto dalle catastrofi sulle infrastrutture critiche e sui servizi di base;
5. aumento del numero di Paesi con strategie di riduzione del rischio di disastri;
6. potenziamento della cooperazione internazionale rivolta ai Paesi in via di sviluppo;
7. aumento della disponibilità e dell’accesso ai sistemi di allerta rapida multi-rischio.
Le iniziative dell’ONU
La lotta al cambiamento climatico può essere portata avanti solo con un preciso impegno dei governi, ma si può anche operare per aiutare le popolazioni delle zone più vulnerabili.
Tra i numerosi progetti attuati dal Programma di sviluppo dell’ONU di aiuti per l’adattamento al cambiamento climatico in atto (UNDP), la lotta al cambiamento climatico nella foresta amazzonica del Perù ha un significato particolare. La popolazione indigena che vive nella foresta, i “guerrieri Harakmbut”, oggi lavora per la difesa della regione dalle continue devastazioni. Il progetto è sostenuto dal REDD+, il meccanismo adottato dal 2007 (Cop13 di Bali) per incentivare la riduzione delle emissioni dovute alla deforestazione attraverso la conservazione e la gestione sostenibile delle foreste nei Paesi in via di sviluppo.
Un altro progetto è attuato nel Mali, in aiuto alle donne del Paese per procurare alle proprie famiglie acqua e cibo. La siccità dovuta alla stagione delle piogge sempre più breve riduce i raccolti che non bastano più al sostentamento. L’UNDP supporta la cooperativa delle donne offrendo loro una formazione tecnica sulle pratiche agricole sostenibili e fornendo pannelli solari che alimentano pozzi e apparecchiature per trasformare il grano in farina. Le verdure ottenute dai raccolti sfamano le famiglie e in parte vengono anche vendute.
I traguardi
L’Agenda 2030 ha suddiviso il tredicesimo Goal in cinque target, elencati qui sotto. Entro il 2030 si chiede di:
13.1 Rafforzare la resilienza e la capacità di adattamento ai rischi legati al clima e ai disastri naturali in tutti i Paesi.
13.2 Integrare nelle politiche, nelle strategie e nei piani nazionali le misure di contrasto ai cambiamenti climatici.
13.3 Migliorare l’istruzione, la sensibilizzazione e la capacità umana e istituzionale riguardo ai cambiamenti climatici in materia di mitigazione, adattamento, riduzione dell’impatto e allerta precoce.
13.a Dare attuazione all’impegno assunto nella Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici per raggiungere l’obiettivo di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 congiuntamente da tutte le fonti, per affrontare le esigenze dei Paesi in via di sviluppo nel contesto delle azioni di mitigazione significative e della trasparenza circa l’attuazione e la piena operatività del “Green Climate Fund” attraverso la sua capitalizzazione nel più breve tempo possibile.
13.b Promuovere meccanismi per aumentare la capacità di una efficace pianificazione e gestione connesse al cambiamento climatico nei paesi meno sviluppati e nei piccoli Stati insulari in via di sviluppo concentrandosi, tra l’altro, sulle donne, i giovani e le comunità locali ed emarginate.
Focus - Un affare di miliardi (persi)
La questione climatica globale può essere anche considerata da una prospettiva economica.
Innanzitutto, visto il quadro delle previsioni per nulla roseo, bisogna valutare le spese in corso dovute agli impegni finanziari per il mitigamento climatico assunti dai singoli Paesi. Per esempio, i flussi finanziari globali per il clima hanno raggiunto una media annuale di 803 miliardi di dollari nel 2019-2020, con un aumento del 12%rispetto al 2017-2018. Questa crescita è attribuita all'aumento delle azioni di mitigazione negli edifici, nelle infrastrutture e nei trasporti, nonché all'aumento dei finanziamenti per l'adattamento.
Una tendenza incoraggiante, che dimostra l’impegno concreto dei governi. Tuttavia, nonostante l'aumento registrato nell'ultimo decennio, i finanziamenti per il clima rimangono al di sotto dei livelli necessari per limitare il riscaldamento. La distribuzione dei finanziamenti tra le regioni è inoltre disomogenea.
Gli investimenti nelle fonti fossili
Bisogna poi ricordare che gli investimenti in combustibili fossili a livello mondiale continuano a essere più alti di quelli in attività climatiche e nel 2020 hanno superato i finanziamenti per l'adattamento e la mitigazione. In altre parole, in termini economici si sta facendo qualcosa per il clima, ma si potrebbe fare molto di più.
Inoltre, il mancato raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi (purtroppo un’ipotesi concreta) comporterà sforzi economici aggiuntivi. Le previsioni dei ricercatori parlano di cifre astronomiche, che si aggirano sui 500mila miliardi di dollari da qui alla fine del secolo.
Non rispettare gli impegni presi ci potrebbe quindi costare molto caro, non solo in termini ambientali ma anche economici.
C’è poi un’altra questione da affrontare: quanto si guadagnerebbe se si riuscisse a contenere l’innalzamento delle temperature entro i limiti fissati dalla comunità internazionale? Si è stimata questa cifra in circa 400mila miliardi dollari.
La questione climatica pone l’umanità di fronte a una scelta anche di tipo economico: investire risorse sempre più ingenti per rincorrere gli effetti del cambiamento climatico oppure cambiare stile di vita, guadagnandoci anche in benessere economico?