16 - Pace, giustizia e istituzioni solide

Pace, giustizia, istituzioni, a che punto siamo?

Il Goal 16 dell’Agenda 2030 punta a realizzare società pacifiche e inclusive per uno sviluppo sostenibile, in cui tutti abbiano uguali diritti e con istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli. L’obiettivo è molto ambizioso e copre una prospettiva molto ampia, intrecciandosi con gli altri Goal dell’Agenda.

Negli ultimi anni non sono stati compiuti progressi sostanziali riguardo le violenze (soprattutto verso le donne), la promozione dello stato di diritto, il rafforzamento delle istituzioni a tutti i livelli o l’aumento delle possibilità di accesso alla giustizia.

Inoltre, milioni di persone sono state private della vita e della sicurezza, dei diritti e delle opportunità, mentre non sono diminuiti gli attacchi contro attivisti per i diritti umani e giornalisti che denunciano situazioni di ingiustizia.

La corruzione

Uno dei principali ostacoli al raggiungimento di questi scopi è la corruzione diffusa tra le istituzioni e le imprese. In occasione della Giornata Internazionale contro la corruzione il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha affermato che “ogni anno, migliaia di miliardi di dollari – l’equivalente di oltre il 5% del PIL globale – vengono pagati in tangenti o sottratti attraverso pratiche corrotte che minano seriamente lo stato di diritto e sostengono attività criminali quali i traffici illeciti di persone, droga o armi”.

Questo flusso di denaro illegale (evasione fiscale, riciclaggio ecc..) attira risorse economiche che sarebbero essenziali per l’istruzione, la sanità e le infrastrutture di base. Costituiscono quindi uno degli ostacoli principali al finanziamento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

La carta interattiva mostra la percentuale di persone che nel 2021 hanno avuto almeno un contatto con un funzionario pubblico e che hanno pagato una tangente o sono state invitate a farlo.

La violenza e la guerra

Violenza, ingiustizia e insicurezza possono essere presenti anche in parti del mondo in cui non sono in atto conflitti e nei Paesi economicamente avanzati. In Brasile, per esempio, il numero di omicidi è ancora molto alto (oltre 42.000 morti violente, nel 2023), così come negli Stati Uniti (15.545 nel 2023), dove peraltro gli Stati con la pena di morte (Louisiana e Missouri) hanno registrato tassi di omicidio più elevati rispetto quelli che non la prevedono. Con queste premesse, le previsioni per il 2030 a livello globale non sono incoraggianti (ONU Italia).

I conflitti violenti in corso nel mondo stanno facendo rallentare il percorso globale verso la pace e il raggiungimento del Goal 16. Nel 2022 si è registrato un aumento di oltre il 50% delle morti civili legate ai conflitti, in gran parte a causa della guerra in Ucraina. Lo scoppio delle ostilità tra Israele e Palestina nella Striscia ha peggiorato questa situazione.

I Paesi che si trovano in situazioni di conflitto violento incontrano gravi difficoltà nell'affrontare le sfide dello sviluppo, come porre fine alla povertà estrema, combattere il cambiamento climatico e proteggere i membri più vulnerabili della società. Devono spesso inoltre superare fragilità istituzionali e sociali, che in condizioni estreme possono creare ulteriori effetti tragici.

Nel 2022, un totale di 37 Paesi o territori (pari a circa 1 miliardo di persone) sono stati classificati dalla Banca Mondiale come "situazioni fragili e colpite da conflitti" (FCS, Fragile and conflict-affected situations). Oltre due terzi di questi Paesi (25 su 37) si trovano nell'Africa subsahariana, nel Medio Oriente e in Nord Africa.

Quasi un miliardo di persone vive in situazioni di fragilità e conflitto (FCS). (Fonte: World Bank, 2023)

Identità perdute

In parecchi Paesi è carente anche la registrazione delle nascite: nel mondo sono troppi i bambini che ufficialmente non esistono. La registrazione della nascita è fondamentale per l’identità giuridica delle persone e garantisce l’accesso ai propri diritti individuali, come i servizi sociali di base e la giustizia legale.

Secondo i dati del rapporto Birth Registration for Every Child by 2030: Are we on track? (Registrare alla nascita ogni bambino entro il 2030: siamo sulla strada giusta?) provenienti da 174 Paesi, negli ultimi quindici anni la percentuale di bambini sotto i 5 anni regolarmente registrati all'anagrafe nazionale è aumentata di circa del 20%  passando dal 63% al 75%. In molti Paesi è stata raggiunta una copertura anagrafica totale o quasi totale (i progressi sono stati principalmente nell'Asia meridionale, soprattutto in BangladeshIndia e Nepal), ma in alcune parti del mondo questo rimane un obiettivo lontano: per esempio, nell'Africa subsahariana meno della metà (46%) di tutti i minori di 5 anni sono registrati. E anche l’Asia centro-meridionale è in ritardo con il 68% delle registrazioni. Etiopia (3%), Zambia (11%) e Ciad (12%) hanno i tassi di registrazione alla nascita più bassi al mondo.

Molto lavoro è stato fatto per migliorare i sistemi di registrazione e per sensibilizzare i cittadini a dotarsi di uno status giuridico, ma sono necessari sforzi continui per garantire che tutti i bambini possano reclamare il loro diritto a un'identità.

Vite a rischio per la giustizia

Le Nazioni Unite negli ultimi anni hanno registrato una media di circa 400 uccisioni di persone che difendevano i diritti umani. Si trattava di attivisti, giornalisti e sindacalisti che vivevano in Paesi particolarmente a rischio sicurezza e che si battevano per costruire una società più giusta e inclusiva.

Le vittime operavano con le comunità locali su questioni che riguardavano l'ambiente, la povertà, i diritti delle minoranze e l'impatto delle attività commerciali.

Tra loro, un posto particolare lo occupano giornalisti e blogger (che rappresentano un quarto del numero totale delle vittime) a tragica testimonianza del fatto che l’informazione e la denuncia attraverso i media può dare fastidio ai traffici e agli affari illeciti.

Proteggere coloro che difendono i diritti e le libertà fondamentali di altri, soprattutto dei più deboli, deve essere uno degli obiettivi principali di una politica socialmente sostenibile: le voci che denunciano le ingiustizie vanno rispettate e ascoltate.

Pace, giustizia, istituzioni, che fare?

Raggiungere una pace mondiale, eliminando i conflitti, combattendo il terrorismo, la criminalità e la corruzione a ogni livello è indispensabile per permettere uno sviluppo sostenibile che includa tutti.

Alla fine del 2022, 108 milioni di persone erano sfollate con la forza in tutto il mondo: una cifra più alta di 19 milioni rispetto alla fine del 2021 e due volte e mezzo la quota di dieci anni fa. Ciò avviene a causa di persecuzioni, conflitti, violenze o violazioni dei diritti umani, e ci fa comprendere come il cammino da compiere sia davvero ancora molto lungo.

In questo contesto, alcune categorie sono particolarmente fragili e subiscono più di altre le conseguenze delle ingiustizie. Oltre ai bambini, destinati a rimanere “fantasmi giuridici” o a essere sfruttati nel mondo del lavoro o in altri traffici illeciti, sono le donne a essere maggiormente penalizzate da situazioni precarie e violente.

La pressione internazionale ha portato a ottenere qualche risultato importante: a livello mondiale, la percentuale di donne parlamentari è aumentata al 25,5% nel 2021 al 26,5% nel 2023. Non ci sono mai state così tante donne al potere nel mondo. È un traguardo significativo, che evidenzia come le azioni politiche e legislative possano determinare cambiamenti sostanziali nella società e nel rispetto dei diritti individuali.

Va però ricordato come, ancora oggi, in molti Paesi le donne non siano protette in alcun modo da leggi che puniscano le violenze domestiche. Un dato che conferma la necessità di un’azione politica incisiva.

L’impegno dell’ONU nelle zone più a rischio

Il Programma dell’ONU per lo Sviluppo (UNDP) lavora in molti Paesi in cui sono o sono stati in atto conflitti. Questi progetti mirano a facilitare le relazioni tra i popoli e favorire la pace.

In Guatemala il progetto UNDP aiuta le vittime sopravvissute al genocidio del 1982, perpetrato dai militari nei confronti della popolazione maya, a far sentire la propria voce e ad avere giustizia. Nel processo tenutosi nel 2013, oltre trent’anni dopo il massacro, l’ONU ha dato assistenza legale ai parenti delle vittime, sostenuto procuratori e giudici fornendo corsi di formazione e coordinamento con antropologi forensi, anche per aiutare a ritrovare i resti dei familiari scomparsi.

In Afghanistan un progetto UNDP è mirato a mantenere contatti sempre più stretti con i Paesi vicini, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, facilitando il commercio, riducendo la criminalità e migliorando lo sviluppo economico. Concretamente si sono costruiti ponti sul fiume Panj, affluente dell’Amudarja, che costituisce il confine tra Afghanistan e Tagikistan. Oltre alla costruzione dei ponti, il progetto mira a rafforzare le forze di polizia afgane per gestire le frontiere e le emergenze. E molte sono le attrezzature tecnologicamente avanzate fornite insieme a corsi di formazione.

A Cipro, uno dei pochi Paesi ancora oggi divisi, l’UNDP ha allestito un comitato di archeologi, architetti, storici dell’arte e urbanisti di entrambe le comunità per la salvaguardia dell’importante patrimonio culturale dell’isola che, abitata da oltre diecimila anni, è ricca in particolare di monumenti fenici, veneziani, francesi e ottomani. Il progetto, che vuole riconciliare le due zone, ha avuto l’appoggio dell’Unione Europea.

I traguardi

L’Agenda 2030 ha suddiviso il quindicesimo Goal in dodici target, qui sintetizzati, il cui raggiungimento è essenziale per il completamente dei Goal precedenti.

16.1 Ridurre significativamente in ogni dove tutte le forme di violenza e i tassi di mortalità connessi.

16.2 Eliminare l’abuso, lo sfruttamento, il traffico e tutte le forme di violenza e tortura contro i bambini.

16.3 Promuovere lo stato di diritto a livello nazionale e internazionale e garantire parità di accesso alla giustizia per tutti.

16.4 Entro il 2030, ridurre in modo significativo i flussi finanziari e di armi illeciti, rafforzare il recupero e la restituzione dei beni rubati e combattere tutte le forme di criminalità organizzata.

16.5 Ridurre sostanzialmente la corruzione e la concussione in tutte le loro forme.

16.6 Sviluppare istituzioni efficaci, responsabili e trasparenti a tutti i livelli.

16.7 Assicurare un processo decisionale reattivo, inclusivo, partecipativo e rappresentativo a tutti i livelli.

16.8 Allargare e rafforzare la partecipazione dei Paesi in via di sviluppo nelle istituzioni della governance globale.

16.9 Entro il 2030, fornire l’identità giuridica per tutti, compresa la registrazione delle nascite.

16.10 Garantire l’accesso del pubblico alle informazioni e proteggere le libertà fondamentali, in conformità con la legislazione nazionale e con gli accordi internazionali.

16.a Rafforzare le istituzioni nazionali, anche attraverso la cooperazione internazionale, per costruire maggiore capacità a tutti i livelli, in particolare nei Paesi a basso e medio reddito, per prevenire la violenza e combattere il terrorismo e la criminalità.

16.b Promuovere e far rispettare le leggi e le politiche non discriminatorie per lo sviluppo sostenibile.

Focus - Il lavoro minorile

Il Goal 16 dell’Agenda 2030 si propone di raggiungere una condizione sociale ed economica di pace e uguaglianza. Promuovere e sostenere azioni per contrastare fenomeni di discriminazione e sfruttamento rientra dunque tra i suoi scopi principali. È il caso della denuncia di una realtà tragicamente ancora molto diffusa nel mondo: il lavoro minorile, la cui eliminazione viene presentata come urgente e necessaria dal Goal 8.

Secondo le recenti stime dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), nel mondo 160 milioni di bambini e adolescenti (tra i 5 e 17 anni) sono coinvolti nel lavoro minorile, in condizioni pericolose che mettono a rischio la salute, la sicurezza e la vita stessa.

Che cos’è?

Il lavoro minorile è l’attività lavorativa che impiega con la coercizione i bambini (statisticamente in una fascia di età compresa tra i 5 e i 17 anni) per scopi di profitto economico altrui (in questa categoria rientrano anche casi non direttamente legati alla sfera economica, come i bambini-soldato). In questo modo essi vengono privati illegalmente e ingiustamente della loro infanzia, della loro dignità e di un sano sviluppo psico-fisico.

A questi bambini, spesso reclusi ed emarginati, viene negato il diritto di andare a scuola, la possibilità di giocare e di godere dei loro affetti.

Il lavoro minorile comprende varie forme di sfruttamento lavorativo e di abuso psicologico e fisico, spesso in contesti degradati di estrema povertà. Molti di questi lavori riguardano i processi dell’economia globalizzata: agricoltura, miniera, servizi e industrie per la produzione di beni destinati all’esportazione.

Le Convenzioni internazionali

La questione del lavoro minorile è sottoposta a tre importanti Convenzioni internazionali:

  • la Convenzione 138 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) che regola l'età minima per l’entrata nel mondo del lavoro;
  • la Convenzione 182 sempre dell'ILO, relativa alla necessità di eliminare le peggiori forme di lavoro minorile;
  • la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia.

Queste convenzioni costituiscono il riferimento principale per definire il concetto di lavoro minorile e rappresentano la base della legislazione sul lavoro minorile emanata dai Paesi firmatari.

Diffusione del lavoro minorile

Le aree maggiormente interessate da questo fenomeno sono quelle del continente africano, dove la percentuale media dei bambini lavoratori raggiunge ben il 29%. Questo dato, nell’ambito dei Paesi meno sviluppati, è in netto contrasto con il Medio Oriente e il Nord Africa, dove la percentuale si riduce al 5%. E lo è ancora di più se confrontato con le aree del Nord America e dell'Europa, come mostra il grafico ricavato da dati del 2022 dell'UNICEF e dell'ILO.

Disparità di genere

Tra i bambini che vivono questa terribile condizione, maschi e femmine hanno la stessa probabilità di essere coinvolti nel lavoro minorile. Anche in questo ambito, però, esiste una disparità di genere legata al tipo di attività svolta: è più facile infatti che le ragazze vengano sfruttate per servizi domestici non retribuiti, mentre i bambini e i ragazzi sono impiegati maggiormente in lavori di fatica.